Interviste ai soci Smart: un modo per raccontare la molteplicità delle esperienze artistiche e lavorative che stanno dietro al mondo cooperativo Smart, senza tralasciare uno sguardo sul presente e sulla peculiarità della situazione che la pandemia ha generato nell’ultimo anno. Dopo l’attore-autore Davide Verazzani, il collettivo di Aroundtheworld.coop, il gruppo musicale La Rappresentante di lista e l’attrice-doppiatrice Simona Patitucci, abbiamo scambiato due parole con la fumettista Pat Carra.
Nata a Parma nel 1954 e residente a Milano, lavora su carta, web e tela. Le sue prime vignette sono pubblicate negli anni Settanta dalla Libreria delle donne di Milano. È tra le fondatrici delle riviste umoristiche femministe Aspirina e Erbacce. Nel 2006 ha vinto il Premio Internazionale di Satira politica di Forte dei Marmi, e nel 2017 l’Annual Award Oro per il fumetto dall’Associazione Autori d’Immagine. Ha collaborato e collabora con riviste e giornali in Italia e all’estero, tra cui Cuore, Noi donne, Donna moderna, il manifesto, Corriere della Sera, inGenere.it, Terre di Mezzo.
Quando hai capito che il disegno, e in particolare il fumetto, era il modo in cui volevi esprimerti?
Nell’infanzia, insieme alla poesia, tutto comincia e ritorna lì. Dai tempi del liceo ho sempre disegnato, molto intensamente nella prima adolescenza, e poi facendo altro quindi senza capire che poteva essere un lavoro vero e proprio. Poi nell’85 sono iniziate le prime collaborazione retribuite, anche se le pubblicazioni erano cominciate prima, con i gruppi femministi. Disegnavo per documenti e volantini, o per le pubblicazioni della Libreria delle donne di Milano, già dal ‘79.
Come sei arrivata ad avere lo stile con cui oggi ti riconosciamo?
Non ho fatto nessuna scuola, né di grafica o di fumetto, né scuole d’arte: ma il tratto cambia nel corso del tempo in base a diversi fattori, e il mio è cambiato anche se la linea è sempre stata quella chiara, semplice, tipica del fumetto anni ‘70. Non ho mai disegnato paesaggi, ad esempio. Sono cambiate un po’ le forme, prima disegnavo figure forse più incerte: anche cambiando tu fisicamente cambia il tuo fumetto, si dice che i personaggi principali richiamino il corpo di chi li disegna. Il disegno è anche molto legato allo stato d’animo, non c’è mai un definitivo, per me ad esempio cambiano impercettibilmente i nasi, il cerchio intorno agli occhi…
Prima che scoppiasse la pandemia a cosa stavi lavorando?
Da tempo lavoro con il sindacato del settore sanitario Anaao, per questo la pandemia non mi ha trovata impreparata, ero piuttosto sul pezzo su tutti i problemi legati al servizio sanitario nazionale.
Già da qualche anno mi dedico, più che ai libri, alle mostre: l’ultima è stata nel 2015/16, si intitolava “Donne e primedonne” e riguardava il mondo delle opere liriche, realizzata per il Teatro La Fenice di Venezia e replicata alla Galleria Nuages di Milano. Prima che scoppiasse la pandemia stavo pensando che era ormai tempo di una nuova mostra, e stavo rimuginando temi e modalità.
In che modo la pandemia ha impattato sulla tua attività creativa, se lo ha fatto?
Bisogna dire, come premessa, che molte forme d’arte diventano necessarie a chi le fa, soprattutto nel momento della catastrofe, e anche per me è diventato ancora più necessario disegnare su quello che ci stava succedendo. Svolgo molto lavoro volontario per la rivista Erbacce, e con la pandemia abbiamo avuto un salto di lavoro, in positivo. La rivista era nata in seguito dalle ceneri di una precedente testata storica, Aspirina, che la multinazionale Bayer/Monsanto ci ha costrette a chiudere; abbiamo resistito pubblicando il libro “Bayer contro Aspirina. L’umorismo che resiste ai diserbanti” (DeriveApprodi ed.) e aprendo nel 2019 la nuova rivista. Quando è arrivata la pandemia, eravamo tutte molto allenate su come rispondere per evitare l’estinzione: è stato un vero flusso creativo, ho disegnato e scritto molto.
So che hai in programma una mostra dal titolo “Anticorpi a fumetti”. Ci racconti di cosa parla e come è concepita?
Sarà a Parma, nella mia città d’origine, nel chiostro della Casa della musica, che ospita il museo dell’Opera, quindi dentro un luogo di teatro, di concerti. “Anticorpi a fumetti” inaugura il 14 maggio e chiude il 20 giugno, è promossa dal Comune Parma 2020, sostenuta dall’assessorato alle Politiche della Sanità e prodotta da Smart. L’intento è interpretare in chiave umoristica e satirica quello che ci sta capitando con la pandemia da Covid 19: la crisi della sanità, le paure, la confusione, e di conseguenza la crisi sociale ed economica, e quella della politica. Quello che verrà offerto al pubblico sarà un percorso, un cammino di fumetto in fumetto, in cui assistere a dialoghi tra amiche, medici e pazienti, bombe, margherite, maghe, gatte, vermi, larve… anche il Covid ha un volto per parlargli meglio e non ridurlo a un fantasma scientifico. Ci saranno 28 pannelli di grandi dimensioni: abbiamo scelto unallestimento all’aperto per invitare le persone a passeggiare e riflettere in un luogo raccolto, sicuro e nello stesso tempo libero.
L’online ha cambiato molte professioni, e ne ha create di nuove. Per te, personalmente, come ha inciso?
Da un punto vista economico ha inciso in negativo, ma credo che questo riguardi in generale il crollo del mestiere giornalistico. Dal punto di vista del poter fare riviste online indipendenti, senza i costi di stampa e distribuzione, è stato invece un cambiamento positivo. Per quanto riguarda le modalità di lavoro e il rapporto con la tecnologia, sono molto legata al disegnare su carta e quindi ho fatto resistenza a passare al disegno su web. Disegno ancora molto su carta, ma lo faccio anche tramite app, sono strumenti in più. La mostra “Anticorpi a fumetti”, prodotta da Smart, è stata realizzata in grande parte con l’ausilio di tecnologia. Oscillo tra un estremo e l’altro, apple pencil, chine e ago. Da circa dieci anni ricamo i fumetti a mano su tela, usando ago, filo e inserti di tessuto. Le ultime mostre sono state di fumetti su tela.
A margine, penso che la memoria abbia una dimensione soggettiva, per esempio per me il ricamo è stato un recupero di strumenti e tecniche, un ritorno al lavoro dei miei nonni materni che avevano una sartoria. Ma naturalmente c’è anche una dimensione o un’aspirazione collettiva, la memoria si riattualizza, si condivide, si trasmette alle generazioni successive.
Quanto è importante ridere per capire le cose (e capire che alcune dovrebbero cambiare)?
Ognuno ha la sua arte di sopravvivenza. Per me da sempre disegnare è indispensabile, è il dono che mi permette di vivere. È una delle tante arti umane, che diventino poi mestiere o meno. Non so se l’umorismo e la satira possono cambiare le cose, sono azioni simboliche, in questo senso possono contribuire a generare consapevolezza e a creare relazioni non strumentali.
Oltre alla mostra, quali progetti hai per il futuro?
Mi piacerebbe che questa mostra avesse delle repliche, è una possibilità a cui sto lavorando ma non c’è niente di sicuro, del resto il periodo non consente di avere certezze di questo tipo.
C’è un lavoro a cui sei particolarmente legata?
Tutti quelli che ho fatto sul tema del lavoro: ho realizzato sia libri che mostre, è un filo ininterrotto. Ad esempio La bella addormentata fa il turno di notte è andata in tournée tra Bologna, Milano e Roma; e Annunci di lavoro ha fatto una decina di tappe. Sono molto orgogliosa di questa miniera di fumetti, mi rendo conto che sono il mio martellante contributo sul tema.
Come hai incontrato Smart? Cosa ti ha spinto a entrare a far parte di una cooperativa di lavoratori?
Attraverso Acta, di cui faccio parte. Durante un convegno a Milano sul lavoro autonomo, a cui partecipava anche Smart, mi sono iscritta. Lavoro unicamente in regime di diritto d’autrice e con alcuni committenti, come le pubbliche amministrazioni, è sempre stato necessario appoggiarmi a studi esterni. Soprattutto per le mostre, avevo da tempo il desiderio di tenere in mano le fila. Anche il grafico e le progettiste con cui lavoro si sono associati. Sono molto felice di aver incontrato Smart nella solitudine del mio lavoro freelance. Non è solo un vantaggio amministrativo, per me è un’atmosfera, ho una fiducia politica e congenita nel mutualismo. Vengo dalla terra delle cooperative, l’Emilia Romagna, e per la tesina di terza media avevo scelto la storia delle società di mutuo soccorso. La ripassavo con il nonno che insieme alla nonna e ai miei genitori, aveva costruito la casa con il giardino e l’orto, grazie a una cooperativa.