VOCI DAI SOCI: INTERVISTA A DAVIDE VERAZZANI

La pandemia da Covid 19 ha stravolto le vite delle persone in molti modi, e già nella scorsa newsletter abbiamo provato a riflettere sull’impatto che ha avuto nel settore dello spettacolo da vivo e per le persone che vi lavorano. Vogliamo continuare a trovare modi per raccontare questo impatto a più livelli, non solo attraverso un pensiero comune sul lavoro ma anche nel “piccolo” delle singole esperienze, nell’idea di trovare un senso comune alle vicende personali. Quella che segue è l’intervista a uno dei nostri soci, un’intervista che avrebbe dovuto avere luogo molti mesi fa e con altri intenti: proviamo a raccontarlo.

L’appuntamento era fissato per il 24 febbraio scorso: durante l’inverno Smart aveva inaugurato un piccolo progetto che consisteva nel raccontarsi come realtà cooperativa attraverso le parole che la fondavano, e intendeva farlo attraverso le voci dei suoi stessi protagonisti. Davide Verazzani (autore, attore e socio Smart) avrebbe dovuto essere il primo, ma quell’incontro non è mai andato in porto: tra fine febbraio e inizio marzo, com’è noto, la pandemia ha investito tutto, improvvisamente le priorità sono divenute altre, e non c’era più motivo di parlare di lavoro artistico, contratti, vita cooperativa, teatro e così via.

Ora, molti mesi dopo e alla vigilia di Natale 2020, abbiamo pensato che avesse senso riprendere il discorso, e rivederlo alla luce di quanto accaduto: far raccontare ai soci in che modo le conseguenze della pandemia hanno impattato sulle loro vite, e quali sono state le forme di resistenza che hanno messo in atto durante quest’anno inedito e a tratti folle, in cui molti lavratori che avevano già poche certezze hanno cominciato ad averne ancora meno.

Prima che scoppiasse la pandemia, cosa facevi?

Tante cose. Innanzitutto avevo in corso un progetto teatrale a cui lavoravo da parecchio, Fatti di storia: avevo diversi spettacoli programmati, e stavo scrivendo due nuovi testi… come dice Fossati in quella sua canzone “c’era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato”.

Mi ero appena inventato anche una specie di spin off, il Fatti di storia contest: funzionava così, io prendevo una data, cercavo nella storia dell’umanità otto avvenimenti che fossero avvenuti quel giorno e li raccontavo facendoli scontrare a due a due, il pubblico decideva il vincitore. Ne ho fatti due, in un locale del quartiere, stava andando benissimo, avevo una data al mese fino a giugno, ero contento perché tutto quello per cui avevo lavorato negli ultimi 5 anni si stava realizzando.

Poi  stavo organizzando la seconda edizione del Nolo Fringe Festival, che avrebbe dovuto tenersi a giugno 2019. Non ultimo, lavoravo come consulente aziendale, e fra i clienti avevo alcune palestre, stava andando tutto molto bene.

Quando è arrivato il momento della presa di coscienza di quanto stava accadendo?

Quando hanno chiuso la prima volta, in marzo, sul momento mi sono ho detto “che fortuna, non ho date in questo periodo”. Ho pensato che la cosa sarebbe ripartita presto, credevo fosse solo un’evento più esteso di altri visti in passato, all’inizio non si sapeva esattamente cosa pensare. Ci ho messo almeno un mese e mezzo per capire, e infatti l’ho buttato via. All’inizio mi appassionava semplicemente stare all’interno di questa storia. Dopo un po’ ho cominciato a realizzarne la gravità. Ho smesso di ascoltare le notizie, non capivo di chi potermi fidare, né cosa sarebbe successo poi. Durante il primo lockdown, poi, mi sono messo il cuore in pace, con una sorta di promessa autoindotta che poi sarebbe ripartito tutto.

Come sono andate le cose durante la pausa estiva?

Tutto sommato non male: grazie al Comune di Milano sono riuscito a riproporre Games of Sforza, lettura scenica ormai collaudata e già nota e apprezzata, dentro la rassegna “Estate Sforzesca” al Castello. È stato l’anno in cui ho avuto più spettatori, 650 paganti, non era mai successo.

Nel frattempo la mente era occupata dall’organizzazione del Nolo Fringe, che siamo riusciti a fare a settembre interamente in presenza: abbiamo trovato per così dire “la finestra giusta”, come altri colleghi che hanno realizzato piccoli festival in quelle settimane.

È stato in quel periodo che mi sono poi reso conto che fra gli operatori e i colleghi non c’era un pensiero reale sul dopo: tutti dicevano “vedrai che tanto ci bloccano”, “vedrai che ora si ferma tutto di nuovo”, la gente aveva cominciato a spegnersi, il pensiero dominante sembrava tiriamo i remi in barca e aspettiamo che passi la tempesta.

Sono riuscito a convincere un’amica a lavorare con me, e ho messo in scena un nuovo testo il 24 ottobre, un testo su Enrico Mattei. È stato l’ultimo spettacolo. Il secondo lockdown è iniziato il giorno dopo.

Parliamo del trasferimento massiccio delle attività culturali sull’online.

L’aspetto positivo per quanto mi riguarda è che ho potuto in questi mesi partecipare a tanti corsi, webinar, momenti di conferenze a cui non avrei potuto partecipare in presenza, eventi che non avrebbero mai previsto la presenza gratis di persone online, così ho avuto possibilità di conoscere cose e persone che non conoscevo. Questa è una cosa, credo, che dobbiamo “tenere” anche per il futuro.

L’aspetto negativo invece riguarda il tema dell’apparire, di una presenza a tutti i costi, che in alcuni casi è il tentativo di dire al mondo “guardate, esisto, sono qui”, e su questo bisognerebbe ragionare un po’.

E il teatro, online?

Per me è un’aberrazione. Quello che io faccio, come autore e come attore, crea un circolo che si autoalimenta, perché la creatività si basa anche su questo, su un circuito virtuoso. I miei progetti si nutrono del rapporto col pubblico, in generale con le persone, e mancando quello, manca la linfa.

Non mi capita di andare in scena moltissimo, ma siccome ci vado con le cose che scrivo io, mi manca poterle misurare con un pubblico: a volte ho cambiato pezzi dei miei testi perché persone del pubblico me ne avevano dato un feedback negativo.

Nelle circostanze che si sono create nei mesi scorsi, cosa ti ha dato Smart?

Sono diventato socio un paio di anni fa, e da subito l’ho trovato un progetto concreto e interessante, anche molto onesto. Durante gli scorsi mesi ho trovato utilissime e puntuali le comunicazioni ai soci, sempre attente al presente e ai dettagli pratici, preziose in un momento in cui era davvero difficile orientarsi e capire cosa fare anche solo per una richiesta di rimborso. Non solo, ho anche effettuato l’iscrizione all’assicurazione InsiemeSalute offerta ai soci tramite una convenzione, l’ho trovata davvero vantaggiosa.

C’è qualcosa che la pandemia ha fatto accadere, invece che fermare?

È buffo ma lo scorso luglio, dal “tempo libero” concesso dalla pandemia, è venuta l’idea di libro sui Beatles (con l’editore Bietti): forse in circostanze normali avrei declinato la proposta avendo troppo da fare, e invece in novembre è uscito il volume. E poi c’è un progetto in fieri con Radio Nolo: tenevo una trasmissione sul teatro che, mancando gli spettacoli, non ha più ragione di esistere, ma abbiamo ripensato il format in termini di podcast, e questo mi ha fatto pensare a nuove forme espressive, a differenti modalità.

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